GLI EVENTI CHE FANNO LA STORIA a
cura di Fabio
E’ fatta: al termine di un’attesa durata molti mesi, i capi delle due superpotenze mondiali, Reagan e Gorbaciov, si accingono a sedersi allo stesso tavolo per affrontare questioni di notevolissima rilevanza. La frenetica spola dei rispettivi plenipotenziari, nonché il confuso susseguirsi di irrigidimenti e di schiarite che hanno condizionato la predisposizione di questo incontro, mostra come sia difficile riunire due persone allo stesso tavolo: figuratevi cosa dobbiamo patire noi, che a ogni ricorrenza Saggistica dobbiamo riunirne addirittura alcune decine. Ma i risultati premiano sovente i nostri sforzi. E’ a questo proposito che mi pare opportuno e doveroso dedicare il giusto spazio a tre noti personaggi facenti capo alle ambasciate di Firenze, i quali, sin dal loro esordio alle Cene dei Saggi, si sono dimostrati soggetti in grado di lasciare un tangibile segno nella storia (e nelle canzoni) del nostro gruppo.
In ordine cronologico, il primo
esordio da citare è quello di Pierfranco Mantovani,
strappato alla quiete di casa sua in occasione di una mitica cena dei
compleanni. Spaesatissimo, non conoscendo che due persone in una bestiale
tavolata che nel giro di una mezz’ora aveva già
raggiunto un tasso alcolico sufficiente a risolvere in modo positivo il
problema degli insetti molesti, il Nostro assisteva, tra il compiaciuto e il
titubante, alle estrinsecazioni canore della Banda Sangi.
Sennonché, la fazione Doriana capitanata da Squalone
aveva ad un certo punto operato una digressione in senso calcistico dei cori,
scatenando così l’avverso gruppo pro-genoa (non a
caso scritto minuscolo) ed il suo capo carismatico Evio ad un’invettiva canora
contro la mamma del presidente della Samp.
Al riecheggiare del mitico “Maaaantovani figlio di puttana”, il
Mantovani quell’altro, cioè Franco, cambiava tre o quattro volte di
colore e, lasciato educatamente terminare il coro (vuoi perché non c’era molta
scelta, vuoi perché forse voleva sentire come andava a
finire), si levava in piedi e proferiva un’indignata seppur composta protesta:
“dico, ragazzi, è la prima volta che vengo qui, nemmeno ci si conosce e non mi
sembra giusto che mi trattiate a questo modo !”.
Silenzio di
tomba, sguardi esterrefatti e perplessità pari a quella che può provare un
automobilista quando sandrino gli fa la multa. Era l’allora astutissimo Malenotti a squarciare le nubi alcoliche del proprio
cervello e ad avere il decisivo sprazzo di lucidità necessario per porre la
domanda vincente: “ma... e unn’è
che tu’ ti chiami Mantovani anche te ???”. “Sì” era
l’illuminante risposta di Franco.
“Cretino !!!”:
riecheggiava dal fondo della tavola; e giù dieci chili di bucce di baccelli
addosso al buon Mantovani, incolpevole vittima di un’infelice omonimia. Però è
passato alla storia: che ci sia o non ci sia, lo si
rammenta sempre.
Forse non tutti coloro
che erano presenti ad una certa cena dal Sudicio ricordano l’esordio di Massimo
“Bronx” Brandi; innanzitutto, una premessa
sconvolgente ed incredibile come l’incontro fra la macchina di sandrino e una moneta da cento lire: il Brandi, pensate un
po’, era titubante all’idea di partecipare alla cena, nel timore di non trovarsi
a proprio agio. Dovetti fare ricorso ad una notevole opera di convincimento,
spiegandogli che l’ambiente di Sangi non avrebbe
potuto farlo sentire come un pesce fuor d’acqua, e che era poi divertentissimo,
in quanto tutto vi è consentito. “Tutto ?” fece il Brandi. “Tutto”, confermai.
Ora, che l’umano linguaggio lasci
sempre un certo margine all’interpretazione e al buon senso, è cosa che tutti
sanno: il Brandi no. Per lui “tutto” è “tutto” e
basta, altrimenti non sarebbe “tutto”, ma sarebbe qualcos’altro. Sono questi i
momenti in cui uno, se sapesse, preferirebbe avere la
dinamite sotto la sedia piuttosto che il Brandi a tavola.
Caso volle che Cecilia, ragazza
carina, fine e di belle maniere, si ritrovasse a tavola proprio faccia faccia al Brandi, il quale,
desideroso di fare colpo mostrando che sapeva ben adeguarsi al “tutto” di cui
sopra, trovò del tutto naturale eseguire le seguenti operazioni:
a) ingollarsi
una gozzata di birra (e fin qui niente di strano);
b) sciacquarvisi rumorosamente le
gengive (denotando, in verità, finezza e alto senso del galateo, in quanto il Brandi ha senza dubbio voluto far notare la
maleducazione insita nell’uso degli stuzzicadenti);
c) farci i gargarismi (e qui la
storia va degenerando);
d) rovesciarla nel piatto di Cecilia;
il tutto, si noti, guardando fissa
la ragazza con espressione di compiaciuta intesa. Cecilia, benché a metà strada
fra il trasecolante e il terrorizzato, benché con i boschi di Scandicci che le
ronzavano nel cervello, non esternò reazioni di rilievo. E’ da domandarsi, comunque, cosa sarebbe successo se al posto suo ci fossero
stati Odina e Odino (bleah!).
L’esordio di Paolo Martinelli, in verità, è rimasto memorabile più per il suo
gran finale che per quanto avvenuto nel corso della festa, dove il Nostro -
fedele al proprio cliché di ragazzo educato, timido, riservato e c… - riuscì tuttavia ad ubriacarsi totalmente senza darlo a
vedere a nessuno. Si era comunque divertito,
nonostante il poco tempo a disposizione: avrebbe dovuto infatti tornare a Firenze
non più tardi di mezzanotte, causa impegni di studio, e quando verso l’una e
mezzo mi venne a cercare in mezzo ai fili d’erba del prato di Guido per
salutarmi, pensai che la scuola è proprio una gran rottura.
Verso le due il Martinelli mi ripescò in mezzo a degli altri fili d’erba,
scusandosi di doversene andare così presto, e giustificandosi adducendo
pressanti impegni scolastici. Gran rottura la scuola, davvero.
Alle due e mezzo mi distolse da
un’interessante conversazione il gentile saluto del Martinelli,
il quale - mi spiegava - era oberato dallo studio e doveva andare a letto
presto; il ché mi suscitò un’istintiva repulsione
emotiva contro quella gran rottura della scuola.
Persona veramente gentile e
educata, il Martinelli: pensate che il lunedì
successivo, in biblioteca, mi prese sottobraccio e,
confuso e imbarazzatissimo, mi fece mille scuse per essersene andato via da Sangi senza salutarmi.