In questo numero prosegue l’interessante rubrica dedicata ai problemi fiscali. Anche adesso, come in precedenza, il lettore vi troverà, oltre alla definitiva risoluzione degli inquietanti interrogativi che costantemente affliggono il contribuente, interessanti spunti tesi all’innovazione della materia e alla ricerca della Verità.

 

Il presente articolo è dedicato ad una attualissima problematica, che investe soprattutto i socialisti.

 

 

 

 

TANGENTI, BUSTARELLE OVVERO MAZZETTE: REGIME FISCALE E TASSAZIONE

 

di Fabio Fantini

 

 

 

 

Oggi come non mai la magistratura sta attivamente intervenendo contro i pubblici amministratori corrotti, evidenziando così come il fenomeno della “tangente” costituisca una realtà oltremodo pesante sotto il profilo degli importi in gioco. In altre parole, il sottobosco della corruzione determina ingenti redditi a favore dei percettori delle tangenti, redditi che il pubblico amministratore corrotto avrebbe il dovere di dichiarare e di assoggettare ad imposta secondo le vigenti regole in materia fiscale.

 

Purtroppo, la cronica mancanza di chiarezza in tali regole fiscali induce sovente il perplesso pubblico amministratore corrotto, che pure vorrebbe ardentemente compiere il proprio dovere di cittadino pagando regolarmente le tasse, ad omettere volutamente la dichiarazione degli importi percepiti a titolo di tangente: e ciò per il comprensibilissimo scrupolo di evitare errori o malintesi con l’Amministrazione finanziaria.

 

A dissolvere ogni dubbio in materia fiscale, e consentire così al coscienzioso pubblico amministratore corrotto di coronare il proprio sogno di pagare le tasse, provvede questa rubrica.

 

Il reddito da tangente, innanzitutto, non è conseguito in relazione alla qualità di lavoratore dipendente del precettore. Si potrebbe obiettare che sussiste una tacita regola secondo la quale il pubblico amministratore ha il preciso dovere di imporre e percepire la tangente nell’ambito della propria attività; e che questa regola, in quanto fedelmente rispettata dalla quasi totalità dei pubblici amministratori e in particolar modo da quelli socialisti, per i quali è proverbiale il fervido attaccamento alla funzione pubblica, è divenuta un “uso” e come tale fonte di diritto (art. 1 preleggi). Ma ciò non è rilevante, in quanto detta regola non è espressamente ricompresa nel contratto collettivo di lavoro dei dipendenti presso Enti pubblici, né fa parte del giuramento che debbono prestare i pubblici amministratori per carica elettiva. E’ questa una lacuna che auspichiamo venire presto eliminata, in quanto la statuizione di siffatta regola determinerebbe - consequenzialmente - anche una definitiva fissazione degli importi delle tangenti, e l’indaffarato pubblico amministratore corrotto verrebbe così liberato dal gravoso onere di doverne di volta in volta determinare l’ammontare. Non solo, si giungerebbe alla riqualificazione della tangente come “reddito assimilato a quello di lavoro dipendente”, e la stessa potrebbe venire così tassata alla fonte, senza ingenerare equivoci di sorta.

 

In attesa di tale riforma, la tangente rientra oggi fra i “redditi diversi” di cui all’art. 81 del Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR). Tale articolo contempla con chiarezza le varie tipologie di tangente oggi presenti sul mercato, e va pertanto dato merito all’attento e preparato legislatore di avere così compiutamente regolamentato il fenomeno in questione.

 

Nel citato art. 81 vi si ritrovano, infatti, i redditi derivanti da: lottizzazioni di aree edificabili (fenomeno che non merita commenti); esecuzione di opere intese a rendere edificabili dette aree (anche qui i commenti sono superflui); cessioni di partecipazioni sociali (la norma parla anche di “operazioni a premio”, il che sottintende chiaramente la tangente); premi derivanti da prove di abilità (il riferimento è senz’altro alla predeterminazioni dei risultati delle gare d’appalto, ove il sapiente pubblico amministratore corrotto riesce persino a manipolare le offerte in busta chiusa e sigillata); assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere (e qui il riferimento alla bustarella è addirittura di dimensioni monumentali).

 

L’onesto pubblico amministratore corrotto dovrà quindi evidenziare nel quadro L del modello 740 quanto da egli percepito a titolo di tangente, ed assoggettare detto importo, al netto delle eventuali spese deducibili (fra cui si ritiene giusto inserire il prezzo del caffè offerto al corresponsore della tangente e gli onorari dell’avvocato che dovrà in qualche modo rintuzzare le fastidiose accuse dei magistrati), all’Irpef e all’Ilor.

 

Le tangenti percepite prima del 1991, e non regolarmente dichiarate ai fini delle imposte sul reddito, potranno essere tranquillamente condonate presentando le dichiarazioni integrative di cui alla Legge 413/91.

 

Seguendo le indicazioni sin qui riportate, l’illuminato pubblico amministratore corrotto sarà al riparo da ogni possibile contestazione o addebito. L’unica eccezione - e ci sia consentito, per completezza di informazione, di travalicare la sfera fiscale che qui ci compete per passare a quella propria del diritto civile - riguarda i pubblici amministratori socialisti allorquando le prestazioni soggette a tangente vengono effettuate con la collaborazione di soggetti appartenenti ad altre aree politiche: è emerso infatti che, a dispetto dei riferimenti proporzionali e del detto popolare secondo il quale i ladri non si derubano fra di loro, i socialisti trattengono comunque una quota di compenso doppia rispetto a quanto corrisposto ad ogni altro socio. Tutto ciò costituisce una palese violazione dell’art.2263 Cod.civ. in tema di ripartizione dei guadagni, e, come tale, oltremodo deprecabile.

 

Per quest’ultimo motivo, grave e immorale, la Voce della presente rubrica continuerà con fermezza a tuonare contro i socialisti, e niente e nessuno potrà fermarla, almeno fino a quando non ci verrà concesso un parcheggio riservato e gratuito all’interno delle mura di San Gimignano.