Le antiche Olimpiadi si disputarono in Grecia, nella città di Olimpia dalla quale hanno preso il nome, ogni quattro anni dal 776 a.c. al 393 d.C., anno in cui l’Imperatore Teodosio non ne volle più sapere e ne decretò la definitiva cessazione. Nate come forma di culto locale, divennero un culto panellenico, una manifestazione cioè di carattere religioso‑nazionale che onorava Zeus e affermava l’unità delle genti elleniche. In una successiva fase, ospitò anche i concorrenti di altri paesi. Alle gare atletiche, riservate ai soli maschi, si affiancavano cerimonie religiose e concorsi di poesia e di eloquenza. Le gare atletiche erano costituite dalle corse a piedi e ippiche, dai salti e dai lanci, dal pentathlon, dalla lotta e dal pugilato. Gli atleti erano altamente motivati e preparati: conducevano un’esistenza assolutamente morigerata, tesa unicamente al perfezionamento della condizione fisica e della tecnica, sottoponendosi a tal fine a durissimi allenamenti. Il successo alle Olimpiadi, infatti, faceva assurgere l’atleta al ruolo di semidio, garantendogli così fama imperitura e ricchezza.
Della
storia delle Olimpiadi si è sempre saputo molto, a cagione della loro
importanza e della loro fama: ma una loro rivisitazione nell’ottica di un
possibile riproponimento in epoca moderna si ebbe
solo nel corso del XIX secolo, quando cioè sull’antica Grecia si concentrò in
maniera massiccia l’interesse degli archeologi, offrendo così agli insigni
studiosi del tempo numerosi spunti per l’accrescimento della conoscenza di un
mondo antico e affascinante. In particolare, ampia attenzione all’antica Ellade venne dedicata dal famoso salotto parigino detto di
“Maman Odile et de la sou vernache”, ove, fra i numerosi e celebri filosofi e
letterati che lo frequentavano e gli davano lustro, spiccavano i nomi del
Barone Pierre de Coubertin,
del Conte Luc de la Vache,
del Professor Marc Marguère,
del Generale La Medaille d’Or Lieutenent
Tinache du Guidon, del Duca Pierconducteur Lanoucare du Pip,
del Divino Marchese, del Principe Evian le Fâchon, del Cavaliere Fantin, del
Flic sandrin de l’Empolle. È ben noto - ai più - l’interesse che questo
salotto ebbe per l’attività di Winckelmann e Chandeler, e soprattutto per la successiva missione
archeologica tedesca di Curtius e per gli scavi che
disseppellirono Olimpia dall’oblio dei secoli. È ben noto - ai più -
l’interesse che questo salotto ebbe per le implicazioni di carattere sportivo
che venivano offerte dalla riscoperta di un così glorioso passato. È ben noto ‑ ai
più ‑ l’interesse che questo salotto ebbe per ogni altra
manifestazione sportiva dell’antichità, riscoprendo il fascino di giochi quali
quelli Pitici, che si tenevano a Delfi; quelli Nemei, a Nemea; quelli Istmici, a
Corinto. Meno noto è, invece, l’interesse che lo stesso salotto ebbe per una
missione archeologica condotta, poco prima di morire, dal celebre Schliemann, il quale, dopo portato alla luce Tirinto, si era ritirato per un certo tempo sull’isola Euboia (Evia) dove si era attivamente
dedicato a riscoprire la mitica città di Obesia (Obesia).
Di questa spedizione archeologica pare che si sia avuto notizia solo nel
salotto di “Maman Odile et de la sou
vernache”, e ciò per un valido motivo: gli archeologi
dell’epoca, Schliemann in testa, erano infatti
interessati non tanto alla riscoperta delle antiche città, quanto al
ritrovamento dei tesori che vi erano celati; per Schliemann,
invece, Obesia fu una folgorazione: non lo era stata
Troia, non lo era stata Micene; Obesia sì. Egli fu
talmente pervaso dal fascino delle scoperte che ne conseguirono, che mantenne e
chiese, ai pochi eletti messi a conoscenza della sua spedizione, di mantenere
il segreto su Obesia.
Anche
ad Obesia, nell’isola di Evia, si teneva
un’importante manifestazione sportiva: le Obesiadi.
All’epoca in cui le Olimpiadi cessavano di essere una mera forma di culto
locale e divenivano un culto panellenico, ad esse cominciarono a contrapporsi
prepotentemente le Obesiadi, che sfruttarono
abilmente le insanabili divergenze che, nel periodo, caratterizzavano il
difficile rapporto fra l’austero Zeus e l’allegro collega Bacco. A Bacco erano
infatti dedicate le Obesiadi, e la partecipazione a
tali giochi cresceva man mano che aumentava, fra la gente, la predilezione
religiosa per un dio a scapito dell’altro. Sinché Zeus si ruppe le scatole e
fece fare ad Obesia la fine che, in altri contesti,
fecero Sodoma e Gomorra, Ercolano e Pompei, Sacco e Vanzetti.
Le
Obesiadi erano una manifestazione di carattere
religioso‑nazionale che onorava Bacco e tendeva ad affermare il primato
di due delle città dell’isola Evia, precisamente Ranza e Ciuciano. Questo primato veniva ribadito
ospitando i concorrenti di altri paesi, opportunamente selezionati dal Comitato
organizzatore composto dai Saggi.
Le gare atletiche erano riservate ai soli maschi, ma le donne non solo potevano
assistere e plaudire, ma potevano (per non dire che dovevano) anche rinfrancare
l’atleta nei momenti di crisi e non. Alle gare si affiancavano cerimonie
religiose, fra le quali spiccavano la recita dell’Inno - La
fava, dedicato a Bacco e rigorosamente
preceduto dal cerimoniale della sciaquatura - e la pisciata propiziatoria contro
il monumento al boccaccio;
e concorsi di poesia e di eloquenza, che videro tramandate ai posteri le
celebri interpretazioni dell’oratore sandrino.
Le gare atletiche erano costituite dalle corse lungo piani inclinati e
sdrucciolevoli di diversa lunghezza e tracciato, dalle regate in canoa, dal
nuoto, da originali competizioni con una sfera di cuoio. Gli atleti erano
altamente motivati e preparati: conducevano un’esistenza assolutamente dissoluta,
tesa al perfezionamento della condizione morale sia pure a discapito di quella
fisica, sottoponendosi a tal fine a durissimi allenamenti, soprattutto a tavola
e a letto. Ogni gara era rigorosamente preceduta, nei giorni precedenti, da
abbondantissime libagioni dedicate a Bacco e al suo amico Dio Scaletta,
manifestazioni queste che duravano sino a tarda notte e che, pertanto,
richiedevano agli atleti doti fuori del comune per potere affrontare al meglio
le successive gare. L’uso di droghe, proibitissimo, conduceva
alla squalifica e al ludibrio: gli unici stimolanti consentiti erano il bombardone e la pompiera. Il successo alle Obesiadi,
pur non facendo assurgere l’atleta al ruolo di semidio e pur non garantendogli
fama imperitura e ricchezza, dava felicità e favoriva l’affratellamento:
infatti, le gare erano rigorosamente a squadre, e solo sporadicamente vedevano
un confronto diretto fra atleti o squadre di atleti, poiché l’avversario da
battere era generalmente il tempo, simboleggiato da Kronos,
amico di Zeus ma inviso a Bacco, il quale, com’è noto, mal ne digeriva
l’incessante scorrere. Unico concorrente in grado di conquistarsi un posto
nella storia fu il plauditissimo Marco
Doria, atleta dall’eccezionale peso e dalle
incredibili prestazioni.
Il
salotto di “Maman Odile et de la sou
vernache”, che seguiva assiduamente i progressi di Schliemann in Evia e di Curtius
in Olimpia, sublimò tutte queste notizie storico‑sportive e si dedicò al
progetto di una manifestazione sportiva periodica che ripristinasse gli antichi
Giochi. Vi furono tuttavia contrasti notevoli fra gli uomini di cultura che
componevano il salotto: per quanto l’ipotesi di ripristinare le Obesiadi si rivelasse maggiormente gradita ai più, il
Barone de Coubertin vi esercitò sin dall’inizio un
testardo ostruzionismo, prediligendo invece un ritorno ad Olimpia, il cui nome
gli ricordava la maîtresse della casa in cui ebbe le sue prime esperienze
giovanili. Il Flic sandrin
de l’Empolle venne inviato a vigilare sull’attività
di Schliemann al fine di trarne ulteriori e decisivi
elementi. Probabilmente gli cavò il lesso: sta di fatto che più nulla si seppe
del de l’Empolle; mentre di Schliemann
si seppe che era morto. Correva il 1890: il salotto si adoperò per sperimentare
la miglior formula delle Obesiadi, con l’unica
eccezione del Barone de Coubertin che, sempre più
apertamente, remava contro corrente. Uno dopo l’altro, nel giro di poco più di
un anno, gli avversari ideologici del de Coubertin
morirono tutti in circostanze misteriose, per quanto i medici attribuissero i
decessi a cause improbabili quali la cirrosi epatica, l’infarto, il diabete. De
Coubertin non ebbe più avversari, e, dopo un ciclo di
conferenze negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra, il 25 novembre 1892
presentò alla Sorbona il suo progetto di ripristino
dei Giochi Olimpici sotto la tutela di un ente internazionale che
soprintendesse all’unificazione delle varie discipline sportive. Di Obesia e delle Obesiadi non fece
il benché minimo cenno. Una fetta di storia ‑ e di quale
importanza ‑ veniva volutamente sepolta nel dimenticatoio. Ma non
del tutto. Le regole del cerimoniale olimpico dettate dallo stesso Barone de Coubertin il 23 giugno 1894, in occasione della formale
proclamazione della ripresa delle Olimpiadi, regole che ancor oggi vigono,
presero in larga parte spunto dal cerimoniale delle Obesiadi:
ad esempio, l’accensione della sacra fiamma, che ad Obesia
veniva poi coperta da una sacra griglia; oppure, all’apertura dei Giochi, il
lancio augurale dei colombi, che ad Obesia venivano
invece mangiati; e, ancora, la bandiera olimpica con cinque anelli uniti, che
ricorda molto gli acini del grappolo d’uva che costituiva uno dei principali
simboli delle Obesiadi.
Comunque
sia, non bisogna irritare gli dei: già una volta Bacco, dopo avere atteso con
pazienza il momento migliore per rifarsi su Zeus e su Olimpia che gli avevano
demolito Obesia, fece abbattere sulle Olimpiadi gli
strali dell’Imperatore Teodosio. E oggi Bacco, in luogo di Teodosio, può
avvalersi dell’azienda Coca-Cola® che sta combinando più danni della grandine. E non solo:
grazie alla collaborazione dell’amico Dio Scaletta, sta sapientemente spargendo
i semi dello spirito obesico in una piccola ma
significativa contrada al centro della penisola italica. Chissà...