“ IL RUMORE “

 

 

Un leggerissimo rumore, forse un sibilo, proveniente dalla finestra, mi fece aprire gli occhi, ma ero già quasi sveglio, un'occhiata assonnata intorno mi rivelò che, dietro le vecchie imposte di legno, il sole si era già alzato.

Doveva essere una giornata limpida e gelida, in autunno, su queste colline, la tramontana puliva completamente il cielo per colorarlo con una tonalità d’azzurro assolutamente affascinante.

Ero sdraiato sul vecchio divano e, solo dopo qualche movimento, mi resi conto di come fosse scomodo e che ero completamente intorpidito e dolorante.

Mi misi a sedere e, aiutato dal freddo che avvolgeva la stanza, uscii dal torpore, riuscendo in pochi attimi a rientrare nella realtà, che avevo abbandonato in quelle poche ore di sonno.

Avevo dormito con i jeans e la maglietta, e solo la pesante coperta di lana mi aveva salvato dal congelamento, con i piedi ancora nudi mi alzai ed il contatto con le ruvide mattonelle del pavimento gelato mi costrinse a rifugiarmi sul tappeto che ricopriva parte della stanza.

Il camino, enorme, accogliente, ancora tiepido, mi accolse al suo interno su di una panca laterale e mi permise di restare caldo, almeno fino a quando non fossi riuscito a ravvivare il fuoco.

La brace, nascosta sotto uno spesso strato di cenere, brillava nella penombra e, appena stimolata dal mio sventolare e da qualche ramo secco, riprese forze e vigore, in pochi istanti fiamme scoppiettanti tornarono a scaldare e illuminare l'ambiente.

Misi qualche altro ciocco di legno a bruciare e poco dopo per il calore eccessivo, mi allontanai per sedermi sul tappeto e godere di uno spettacolo affascinante: la danza frenetica e primitiva che le mille lingue di fuoco compivano da milioni di anni, sempre nello stesso modo e sempre in modo diverso, affascinando misteriosamente l'uomo fin dai primordi della civiltà.

Restai assorto fino a quando comparve, come per incanto, una lama di luce che i vecchi infissi di legno avevano lasciato filtrare, sconfitti dalla forza del sole appena sorto.

La luce attraversava la stanza in modo quasi orizzontale e, al suo interno, si vedevano turbinare milioni di particelle dalla provenienza indefinita, altrimenti invisibili, mi alzai, vincendo la pigrizia, mi avvicinai alla finestra e con coraggio la spalancai per aprire i portelloni e godere del panorama.

Il sole mi colse in pieno volto, fui costretto a proteggermi con una mano per alcuni istanti, poi rimasi in silenzio, ammirato e assorto dallo spettacolo.

La valle si estendeva sotto la collina, declinando dolcemente, per terminare in un piccolo corso d'acqua che scorreva pigramente, appena ingrossato dalle piogge autunnali. Al di la del torrente il pendio iniziava a risalire dolcemente in un piacevole connubio di campi arati e alberi da frutta, per terminare in un bosco di alto fusto all’apparenza secolare.

Appena dopo la staccionata, che circondava il cascinale, dove mi trovavo, iniziavano i filari della vigna che modellavano e riempivano il pendio, fino al fiume.

I raggi obliqui e limpidi del sole facevano risaltare e splendere i  tanti colori delle foglie ancora appese alle viti che arrivavano praticamente a ridosso della sponda più vicina.  Le rive erano incorniciate da cespugli di rovi e da alberi, con i rami ormai spogli,  che si lasciavano attraversare e scuotere dal  vento gelido.

Ai lati della valle dei fitti boschetti completavano il panorama, regalando i mille colori, che solo in questa stagione si possono ammirare.

Una leggera foschia aleggiava tenacemente sul fondo della valle, come se i capricci della tramontana non riuscissero a raggiungerla e disperderla.

Meraviglioso, era uno spettacolo meraviglioso, semplice e forte, in un insieme di lavoro umano e della natura, semplice, silenzioso, carico di poesia.

Solo quando il vetro si appannò completamente, per il mio respiro, mi ripresi dal torpore e iniziai a pensare al da farsi.

Le mie buone intenzioni andarono in mille pezzi non appena mi  tornasti in mente.

Non so come avevo fatto, forse il mio cervello aveva inserito una specie di circuito di emergenza per salvarmi da te e dai tuoi poteri, o forse ero semplicemente andato in overdose e mi servivano pochi istanti liberi dai tuoi effetti.

Comunque sia, ora eri tornata, ti eri riappropriata di me, del mio corpo, dei miei istinti, della mia povera anima e dei miei desideri.

Lo adoravo, lo desideravo ma lo temevo, e non avrei potuto far nulla in ogni caso, ero nelle tue mani anche se, per ora, ero solo io a volerlo e subirlo.

Tornai ad accasciarmi sul divano, dopo averlo accostato al camino, e in pochi attimi tornai a vivere quei momenti favolosi della sera appena passata e trascorsa insieme.

Non ricordavo quasi nulla della festa, del suo svolgimento, dei presenti e del perché si fosse tenuta, solo Marco, il festeggiato, mi tornava in mente, un caro amico, per fortuna, per entrambi, che ci aveva permesso, per caso, di incontrarci da soli senza il vincolo delle rispettive famiglie.

Uno strano mix di amici e colleghi che, contrariamente alle attese, si era amalgamato senza problemi dando vita ad una serata piacevole, questo almeno mi sembrava di ricordare.

Quello che invece ricordavo perfettamente, iniziava dal momento in cui ci eravamo fermati a parlare in un angolo, in disparte, aiutandoci con del buon vino, a parlare di noi e dei nostri guai.

Da quel momento in poi avevo smesso di fingere e di riflettere, lasciando la briglia sciolta al mio cuore, senza aver  paura delle conseguenze o del tuo giudizio.

Mi piacevi da sempre, in modo viscerale, istintivo, primordiale, sanguigno e pericoloso.

Fino al punto che temevo di perdere il controllo, quando mi trovavo a distanza ravvicinata con te.     

Tutte le volte che ti avevo pensata, da quel giorno in cui ti avevo intravisto in ufficio, persa nella massa dei colleghi, erano stati momenti di piacere e di sofferenza irripetibili.

L’abusato e banale colpo di fulmine si era materializzato in quel momento speciale, per me ovviamente, ero preso, in modo fisico, doloroso, mi facevi male, vederti e non poterti toccare ed abbracciare mi procurava un senso di vuoto e di sconforto che mai avevo provato prima.

Ero rimasto in disparte, cercando di non entrare nella tua vita, di non proporre la mia presenza ai tuoi occhi, evitando qualsiasi forma di contatto se non strettamente professionale. Mi era quasi riuscito perfettamente, ma alla fine mi bastava parlarti pochi secondi o incrociarti nei corridoi per annullare l’effetto di settimane di astinenza.

Avrei avuto voglia di parlarne con qualcuno, magari un amico, ma che cosa avrei dovuto dire, che mi ero innamorato, che avevo preso una sbandata, che volevo uscire dalla monotonia, che mi piaceva una donna diversa dalla mia……….

Tutto e niente, allora alla fine mi era rimasto tutto dentro, chiuso a doppia mandata, all’ombra delle mie paure e delle convenzioni sociali.

Tu nel frattempo, non avevi colto quella nuova situazione, e come avresti potuto, mai una parola in più, uno sguardo particolare, un sorriso improvviso, niente, tutto come sempre, banale e cordiale.

La sola cosa che mi aiutava era che di te realmente non sapevo nulla, mi potevo inventare qualunque cosa e modellarti a mio piacimento per adattarti alle mie esigenze assolutamente mutabili.

Ora eri dolce e sensuale, ora forte ed erotica, poi una splendida madre di famiglia ed io allora ti trasformavo in una peccaminosa donnina.

Tutto come io preferivo, desideravo, speravo, tutto completamente inventato.

Ero arrivato al limite, la fantasia non mi aiutava più, carne, avevo bisogno di carne, come una belva primitiva sentivo il cuore pompare il sangue ad un ritmo spaventoso, sentivo i muscoli gonfiarsi e indurirsi, il mio ventre reagiva ad ogni minimo stimolo.

Basta, dovevo dimenticarti.

In fretta.

Poi una telefonata, apparentemente banale, ha cambiato tutto, una festa, pochi amici riuniti per un compleanno, come si faceva da giovani, in quella fattoria dei nonni di quel mio, anzi nostro, amico.

Per giunta, un invito riservato, non comprensivo di famiglie, amanti, prostitute e capuffici. 

Naturalmente non conoscevo gli altri partecipanti né mi interessava, tanto sarei andato in ogni caso, la possibilità di pernottare lì mi aveva convinto subito, due giorni con la spina staccata mi servivano sicuramente.

Poi ha suonato il telefono : “Ciao, senti sono Stefania, ti chiamo per il regalo a Marco, lo volevamo fare tutti insieme, sai un videoregistratore, il suo si è bruciato con un fulmine e allora…. Tu ci stai? “

Non mi ricordo neanche cosa ti risposi, le tue parole mi entrarono nel cervello alla velocità delle luce, attraversando le cellule, i centri nervosi, bruciando i tessuti e carbonizzando le mie risorse mentali faticosamente ricostruite.

Nei giorni precedenti la festa non chiusi occhio passando le notti al computer o leggendo e rileggendo la stessa pagina con la mente altrove.

I rapporti familiari avevano subito un colpo che ero riuscito a mascherare con improbabili problemi professionali, legati alle strategie aziendali ad alto livello.

Ti avrei visto, da vicino, a lungo, senza ostacoli, magari con la possibilità di avvicinarti, con una scusa banale, parlarti, annusarti, ascoltarti, persino toccarti e, sicuramente, ti avrei divorata, solo con gli occhi, purtroppo.

Il tempo passò rapidamente, fino al pomeriggio del sabato, per bloccarsi completamente quando mancava così poco al momento magico. La paura mi prese mordendomi lo stomaco in modo selvaggio, mi mancava il respiro, tremavo, sudavo e mi venne anche da piangere.

Attraversai la campagna, guidando come un cane, stringendo il volante quasi volessi strapparlo dalla sede, rischiai l’incidente più volte sulle strade sterrate e, solo quando fui nei pressi della fattoria, un vago senso di sopravvivenza mi restituì la mia lucidità abituale.

Ero tra i primi, lasciai la macchina vicino alle stalle, percorsi il piazzale coperto di ghiaia, rapidamente cercando di capire se eri già tra i presenti, ma non riuscii a vedere la tua macchina, il buio era troppo intenso e le poche luci presenti limitavano la visuale a pochi metri.

Una volta dentro, ebbi la sensazione, prima ancora di riconoscere i presenti, che non fossi ancora arrivata, lo sentivo, i miei sensi si espansero in tutte le direzioni ma non trovarono nulla di te, la cosa contribuì a rilassarmi ulteriormente, trascorsi alcuni minuti dialogando con alcuni presenti, fino a quando Marco mi accompagnò a vedere il resto della casa, mi piaceva, un vecchio cascinale restaurato in modo intelligente, senza abusi o forzature.

Le stanze ampie e confortevoli, fredde, data l’assenza di termosifoni, erano completate da un ampio salone dotato di uno splendido tavolo di legno molto spesso e pesante.

Mi recai in bagno, mi avvicinai alla finestra che dava sul piazzale avvolto dal buio, rapito da un fascio di luce in avvicinamento, attesi alcuni minuti e, quando gli sportelli si aprirono,  nell’oscurità quasi totale, ti vidi.

Avvolta in un pesante cappotto scuro, guadagnasti di corsa il tepore della casa per lasciarmi lì, attonito, a fissare il buio.      

Mi sentivo un ragazzino al primo amore, l’entusiasmo vinse ogni altro istinto facendomi scendere le scale in pochi salti, facendomi entrare nel salone come una furia, cosa che per fortuna, tu non notasti.

Ti eri già liberata del pesante cappotto, percorrevi cordialmente la stanza regalando sorrisi e saluti a tutti i presenti, la camicia bianca di seta ti esaltava la scollatura e le curve del seno, nelle quali a volte spariva un ciondolo a forma di falce di luna che pendeva da un sottile filo  d’oro.

Un leggero velo di trucco, piccoli orecchini a forma di stella, i capelli liberi di incorniciare e assecondare le espressioni del viso, cosa potevo volere di più, non avrei potuto desiderarti meglio di così.

Una gonna lunga, forse troppo lunga mi trasse in inganno, ma solo per poco, sul lato destro notai una profonda apertura che seguiva il profilo della gamba fin quasi alla vita, bastava seguire i tuoi passi attentamente e la gamba, prima o poi, sarebbe apparsa, splendida e sensuale,   perfetta per attrarre il mio sguardo e farmi cadere in imbarazzo.

Mi mossi in modo da incontrarti vicino ad una finestra, per avere un modo per poter  distogliere lo sguardo da te, dai tuoi occhi, dal tuo corpo, dal tuo sorriso, un modo plausibile per, magari, prolungare la conversazione.

E così fu.

Mi ero aperto, libero dalle paure e dalle incertezze, parlavo e ascoltato con naturalezza, alternavo sorrisi e battute a momenti di apparente serietà, approfittavo di ogni occasione per non interrompere il momento e, casualmente, nessuno venne ad alterare quell’equilibrio.

Rimasi stupito per la tua disponibilità, lo ritenni un fatto fortuito e casuale, e quando ci unimmo agli altri, per iniziare la cena, la cosa non mi dette alcun fastidio, ero certo che ti avrei avuta vicina ancora a lungo durante la serata.

Una volta riuniti al gruppo ci perdemmo di vista, almeno apparentemente, poiché mi parve di cogliere nei tuoi occhi un certo interesse per i miei movimenti e le mie parole.

L’atmosfera doveva essere stata piacevole e banale, non ricordavo nulla di speciale, e solo la luce che irradiavi durante i tuoi movimenti mi restava impossibile da scordare.

Milioni di parole, di gesti, mille pensieri mischiati e confusi gli uni con gli altri, tutte quelle menti e quelle anime avevano prodotto un insieme inestricabile di passioni e desideri e ne ero rimasto avvolto e prigioniero. Lottavo per fuggire e non rimanere invischiato e prigioniero di quel golem, ti cercavo, avevo bisogno dei tuoi occhi, del tuo respiro, del tuo sorriso.

Mi sentivo forte e carico di passione e di amore, sapevo che se avessi potuto aprirmi con te, avrei avuto la possibilità di veder realizzato il mio sogno.

E invece no.

Sarebbe stata la mia fine, mi sarei tagliato la testa da solo, non era quella la mia strada per la felicità, non potevo neanche per un attimo sperare che tu mi avresti accolto, neanche ascoltato. Perché lo avresti dovuto fare?

Cosa poteva esserci in me di interessante a tal punto da spingerti in una strada piena di insidie e angosce.

Assolutamente niente. E se lo dicevo io doveva essere per forza così.

Come sempre il destino aveva deciso di intervenire e mentre stavo per piombare nel buio più totale, mi hai toccato una spalla, hai preteso la mia attenzione e senza sforzo ti sei ripresa la mia vita.

Con un calice in una mano e un fiore nell’altra mi ordinasti di seguirti e raggiunta una panca, in un angolo appartato e in ombra ti sei seduta accavallando le gambe con grazia ed eleganza, lasciandomi senza alternative. Seguirti ed obbedirti, fino in fondo, verso quel precipizio di piacere e paura che si stava spalancando ai miei occhi. 

Seduta in quel modo, teoricamente scomodo, con grazia ed eleganza, con la forma delle gambe che esplodeva sotto la gonna, il seno che, ritmato dal respiro, sembrava dotato di vita propria, mi avevi battuto, avevi demolito la mia corazza e la mia forza solo con dieci secondi di gentilezza.

Dovevo trovare un bicchiere, subito, dovevo avere qualcosa da toccare e guardare oltre a te.

Lo trovai, un vino dolce e forte, rosso scuro, quasi nero, capace di tramortire chi lo avesse sfidato troppo, ne trassi calore e conforto e mi preparai alla battaglia.

Dolce e delicata parlavi con scioltezza come se quel tuo invito fosse del tutto normale, mi stavi regalando uno scorcio della tua bellezza che non mi sarei mai aspettato, lentamente mi stavo riavendo, recuperai la voglia di lottare e con violenza mi misi a competere in fascino e brillantezza con te, ebbi perfino l’impressione di esserci riuscito.

Dalle tue labbra sentii uscire parole di affetto e stima per me che oltre a stupirmi mi riscaldarono fino a farmi arrossire pesantemente. La cosa più strana di tutte era che parlavi come se già sapessi tutto dei miei sentimenti e dei miei pensieri nei tuoi confronti.      

Ti spostavi e torturavi la dura superficie della panca come se fossi alla ricerca della miglior posizione, per fare cosa poi non riuscivo a capirlo, senza smettere mai di parlare e di ascoltarmi, lasciando saettare la luce dei tuoi occhi ad ogni mia parola o frase che ti aveva colpito.

Non me ne ero accorto ma un altro bottone della tua camicia aveva smesso di funzionare, mi prese il dubbio che non fosse un caso, il tuo sorriso strano mi fece credere che ora avresti controllato il percorso del mio sguardo con più attenzione, sapevi bene quale strada stava per intraprendere.

Non potevo resistere a lungo e allora decisi di non lottare con la vergogna e invece di evitarlo feci di tutto per sbirciare in quel paradiso, arrivai fino al punto di eliminare quei pochi centimetri di legno rimasti liberi tra di noi.  

Sentivo ora più chiaramente il tuo profumo e il tuo respiro, denso, caldo, con l’aroma dolce e forte de vino che a tratti prevaleva catturando la mia attenzione.

La scollatura ti disegnava il profilo in modo armonioso e delicato, le curve chiare e delicate del seno ritmavano il tuo respiro appena accelerato, il reggiseno sembrava troppo piccolo per contenere le tue forme ma l’effetto non ammetteva critiche.

Lo stavi esibendo, con l’intento studiato di mettermi alla prova, scoprire se sotto la mia apparenza di uomo corretto ed elegante si nascondesse la solita bestia affamata di carne.

Perché negarlo, la tua bellezza, il tuo fascino, la tua simpatia e soprattutto la tua sensualità mi avevano vinto e piegato, ti stavo esibendo le mie debolezze di uomo innamorato, appassionato, cotto ed eccitato. Lo sapevi ovviamente ma la cosa più importante era che ne eri evidentemente contenta e affascinata.

Passato il momento particolare tornammo a scambiarci i nostri pensieri cercando sempre più di capire la nostra vera natura e i nostri veri sentimenti, tralasciando del tutto i convenevoli, le banalità e le ovvietà.

Il tempo era volato, dissolto come se la clessidra della nostra vita si fosse fermata per poi ripartire dopo chissà quanto tempo, rumori di saluti, abbracci e  ringraziamenti avevano riempito la sala e nessuno sembrava interessarsi a noi, quasi che tutti volessero prolungarci quei momenti di gioia, che sicuramente molti avevano notato.

Ci avvicinammo,  per partecipare ai convenevoli, ma mi sembrò subito di notare un’anomalia, il tuo modo di salutare  e di parlare lasciava pensare che tu non saresti partita.     

Contrariamente alle attese mi sentii gelare, sudavo nonostante l’aria frizzante che filtrava dalla porta socchiusa, sorridevo stupidamente a tutti, rispondendo banalmente ai saluti e non cogliendo l’ironia di chi mi sussurrava auguri insoliti e immotivati.

Quasi tutti sapevano dall’inizio della serata che mi sarei fermato a dormire lì, forse scoprire che anche tu restavi li aveva indotti a trarre facili conclusioni.

Giusto? Sbagliato? Non lo so, semplicemente umano, forse.

E io cosa avrei dovuto pensare, quando aveva deciso di fermarsi? Perché? Con chi? Le avevo detto che anch’io…….?

Troppe domande, tutte difficili e banali al contempo, lei continuava con naturalezza i saluti e non mi degnava di uno sguardo, aveva certo sentito il mio imbarazzo e voleva fare in modo che aumentasse, trascurandomi, rispondeva ironicamente ad ogni tipo di allusione inerente la ormai prossima notte.

Un genio, era un vero genio, mi aveva strappato gli ultimi brandelli di dignità che ancora pendevano dalla mia anima e li sventolava come un trofeo davanti agli occhi di tutti.

“Vedete, lui è in mio potere e ne farò il mio schiavo”.

Non lo disse ma un suo sguardo fugace e intrigante mi confermo la mia impressione.

A quel punto decisi che avrei cessato ogni tipo di resistenza, fisica ma soprattutto mentale. Se dovevo fare la figura più triste della mia onorata carriera di maschio, bene, l’avrei fatta, ti avrei lasciato condurre la danza fino alla fine e poi sarei scomparso, coperto dalla una coltre di vergogna tanto densa da non far più passare la luce.

Un altro bicchiere, una fetta di crostata, un bel disco e lentamente arrivò il momento:

“ Ma tu che fai, ti fermi qui a dormire? Anche io! “

Se potessi descrivere la musica ed il tono di quelle tue parole sarei in grado di capire l’anima di una donna e risolvere il più grande mistero della storia.

Quale? Semplice, perché anche di fronte alle circostanze più avverse e impossibili l’uomo finisce sempre per sbracare di fronte al volere di una donna ?

Avevi fatto l’ultimo passo, l’ultimo atto di una commedia prevede sempre il grande assolo della protagonista e tu non potevi mancare.

Bravissima e dolcissima, seppur sconfitto ero felice di essere la comparsa di quest’ultima recita, la spalla umile e devota, stavo respirando la tua stessa aria, sentivo il tuo cuore e il suo battito impazzito, vedevo i tuoi occhi chiudersi lentamente e ripetutamente come a ritmare i pensieri e i desideri, sentivo l’emozione e i brividi che attraversavano il tuo corpo, sentivo il calore della passione bucarti le vesti e la pelle.

Ma non potevo far nulla.

Non dovevo far nulla.

Assolutamente.

Mi avevi donato al parte più segreta di te, la tua intimità, il tuo sesso, i tuoi brividi, i tuoi umori.

Ma………

Il solito eterno, immortale, invincibile, inevitabile “MA”.

Non avevi deciso, lo sentivo, lo capivo, me lo dicevi con il corpo e con l’anima.

Non avevi ancora deciso e credo che non lo avresti mai fatto.

Marco ci aveva salutati da poco e disperatamente cercavo con lo sguardo eventuali altri presenti e non ne trovai, a parte te…..

Prima di salutarci il padrone di casa ci aveva comunicato la situazione delle camere per cui già sapevo che tu avevi la tua e io il divano nella sala, la cosa per me era favorevole, impediva ambiguità e allusioni.

Mi soffermai davanti al camino, seduto su una seggiola, l’ultimo sorso, i soliti pensieri, e per la prima volta da molte ore tu non eri vicino a me, eri in camera a prepararti per la notte, forse già svestita o addirittura già a letto.

No, non mi avevi salutato, non era da te, non quella sera.

Stavo bene, rilassato, appagato, soddisfatto e senza angosce di nessun tipo, le ore a venire sembravano decise e senza possibili sorprese, solo eventi clamorosi potevano alterare la mia pace.

Poi la porta si aprì, il cigolio dei cardini nel corridoio mi mise sull’avviso, andavi in bagno cioè dall’altra parte della casa, o tornavi nel salone?

I piedi avvolti dalle pantofole non lasciavano intuire il percorso e solo la tua mano sulla spalla mi svelò il mistero, eri tornata da me.

Indossavi un pigiama da uomo, troppo grande, di Marco suppongo, che mascherava ogni forma dal collo ai piedi e ti donavo un tocco di dolcezza molto familiare.    

Presa un’altra sedia ti accomodasti accanto a me e iniziasti la conversazione con un :

“ Ti piaccio vestita così? “    che mi strappò una risata fragoroso che dette il via ad una serie di sfottò e risate interminabile, serenamente da vecchi amici siamo rimasti lì al caldo per molto, molto tempo, forse troppo.

Poi ti sei avvicinata ancora, hai appoggiato la testa sulla mia spalla, una mano ha preso la mia e con un movimento sinuoso ti sei adagiata addosso a me, senza apparente imbarazzo e con stupenda naturalezza.

Ho resistito solo pochi minuti, mi sono girato lentamente, come un contorsionista ho passato il mio braccio dietro di te e lentamente ho avvicinato il mio viso irsuto alla tua pelle candida, non mi hai dato il tempo di pensare e scattando come una leonessa mi hai baciato.

Un bacio vero, lungo, caldo, sensuale, erotico, a tratti violento, ma soprattutto desiderato.

Con gli occhi chiusi, le braccia, serrate in una morsa, intorno a te me ne stavo lì a gustare ogni istante, ogni movimento, ogni sapore, ogni richiesta.

Senza rendersene conto ci eravamo spostati durante il bacio e tu ormai eri in braccio a me, lasciandomi sentire sul ventre la pressione delle tue forme e dei tuoi movimenti, 

mi accorsi che la mia stretta stava diventando esagerata, mi rilassai cercando di trattenere le mani che stavano iniziando ad accarezzarti percorrendo le pieghe del pigiama con lentezza e sensualità.

Mi stavi assecondando e quando il bacio terminò il tuo sorriso completò la mia soddisfazione regalandomi un istante di felicità assoluta.

Poi lentamente ti alzasti, accarezzandomi il viso con dolcezza, mi regalasti un altro bacio, leggero, appena accennato, sulle labbra, un altro sorriso con gli occhi fissi sui miei, mi spiegasti tutta la situazione senza bisogno di parole.

Io ero immobile, impotente, distrutto dalla passione e dai sensi, ti osservavo conscio che il momento magico era finito.

Ti sei girata, con movimenti lenti e leggeri hai attraversato la sala e sei scomparsa alla mia vista, lasciandomi solo, in uno stato di vuoto che sembrava non finire mai.

Eri andata, per sempre, lo sentivo, avevo capito, la tua fuga non era un invito a seguirti, anche se poteva sembrarlo, era un addio, semplice e fantastico, immediato, potente, inequivocabile e bellissimo.

Si, bellissimo, un gesto meraviglioso, che non avrei mai immaginato o sperato.

Mi avevi detto tutto, in pochi secondi avevo rapito dal tuo corpo i segreti della tua passione, dei tuoi desideri proibiti, la verità del tuo cuore.

Avresti potuto decidere in mille modi, scegliere come, dove, quando esprimere i tuoi pensieri, e lo avevi fatto con me, rivelandoti in tutta la tua bellezza interiore che superava, se possibile, quella visibile.

Il rumore di una porta chiusa con delicatezza mi scosse dal torpore, restai in ascolto in silenzio, per cogliere ogni tuo ulteriore segno di movimento. Non ne udii, ormai dovevi essere a letto, calda e silenziosa sotto le coperte, sola, troppo sola, una donna cosi intensa e piena di tutto ciò che un uomo può e deve desiderare.

Bella, la cosa che mi tornava in mente in modo assillante, eri semplicemente e banalmente bella.

In tutte le tue cose, i movimenti, i sorrisi, le parole, gli sguardi, bastava pensare a una cosa tua e la risposta del mio cuore era: “ Bella” .

Il silenzio ora era assoluto, il crepitio del fuoco ormai quasi spento non riusciva a coprire il rumore assordante di quel silenzio.

 

I miei ricordi terminavano in quel momento di pace, dovevo essermi addormentato di li a poco, beatamente, vinto dalle emozioni e dalla stanchezza.

Mi stavo dirigendo verso la cucina, mi ero rivestito completamente e avevo bisogno di un caffè, percorsi il corridoio senza far rumore, stavo per arrivare all’ultima stanza, la tua, quella più vicina alla cucina, un altro passo e un mi trovai di fronte ad una porta socchiusa, la luce filtrava illuminando il pavimento, si vedeva uno spicchio di letto, sfatto e accogliente.

Bussai delicatamente pronunciando il tuo nome in modo quasi impercettibile, nessuna risposta, silenzio, troppo silenzio.

Istintivamente la spalancai, niente, nessuno eri andata, sparita, partita, avevi chiuso questo capitolo della nostra vita in un modo che non avevo assolutamente previsto.

Il tuo profumo persisteva nella stanza, tra le coperte, sui cuscini, sul pigiama che giaceva abbandonato sul pavimento.

Mi affacciai alla finestra, il piazzale sottostante mi confermò la tua partenza, la macchina mancava, vedevo lo spazio tra le altre tristemente vuoto.

Il caffè bollente mi offese la gola e lo stomaco ma spazzò via i residui di sonno che ancora mi accompagnavano, gli altri ancora dormivano, l’alba era passata da poco, restare in quel luogo non aveva molto senso, decisi di partire subito, chiavi, giaccone, cappello e in un attimo ero fuori, il vento mi colpiva il viso violentemente facendomi correre alla macchina.

Il motore ubbidì immediatamente e la retromarcia mi portò fuori dal piazzale in pochi istanti. Quando mi voltai per ripartire mi bloccai con un sorriso idiota sul viso che non voleva andarsene.

Sul vetro, incisa nella polvere spiccavano due parole, semplici, immediate, graziose e gradite.

“ Grazie, ma… S. “

Misi la marcia, detti gas con forza, la radio e Ligabue mi davano allegria, il sole illuminava la giornata, il cuore mi batteva appena più del normale.

 

Era un gran bel giorno per sognare.