Il buio
Il leggero movimento fatto
dalle canne e dall'erba alta, che circondano lo specchio d'acqua
cristallina, annuncia l'arrivo della
leggera brezza di mare che ogni mattina, puntuale da secoli, viene ad accarezzare
la piccola isola mitigando dolcemente il clima, altrimenti torrido.
La piccola spiaggia
sabbiosa era appena sufficiente per accogliere i loro corpi distesi e le
leggere onde della laguna interna gli lambivano delicatamente le gambe.
Amavano molto recarsi,
al mattino presto, appena dopo l'alba, in quel luogo deserto e tuffarsi
nell'acqua trasparente e fresca, alternando giochi infantili a momenti di
assoluta dolcezza.
Lui indossava il
classico costume, di tipo sportivo, che per la verità peggiorava le sue forme,
mentre lei aveva scelto, quella mattina, un costume intero di un rosso
vivissimo, che poi aveva modificato, arrotolandone sul ventre la parte
superiore e lasciando cosi scoperto il seno, ormai scurito dal sole.
Lui aveva notato ed apprezzato
in modo particolare il contrasto tra i colori del costume e della pelle abbronzata.
Non avevano molto tempo,
i bambini si sarebbero svegliati presto, risvegliati dal sonno dai rumori della
natura, ancora padrona assoluta delle loro giornate.
Stare distesi sulla
sabbia, vicini, praticamente uniti,
scambiarsi leggere tenerezze e baci proibiti, dava loro un senso di gioia e pace
di cui avevano dimenticato l'esistenza.
Avevano scelto quella
vacanza quasi per caso, e solo il prezzo abbordabile li aveva convinti.
Nonostante le troppe ore di volo i figli, tre, non avevano dato troppi
problemi, presi e concentrati sulle tante novità di quella affascinante
avventura. Nove anni il più grande, sei
la più piccola e quasi otto l'altro, il più terribile.
Tutti i parenti a casa
avevano gridato alla pazzia, saputo di quella scelta "avventurosa",
ma la cosa era scivolata sulla loro decisione rapidamente e senza conseguenze.
Una vacanza di venti
giorni in un villaggio "caraibico", in una sperduta isoletta nel
golfo del Messico, al prezzo di Riccione, e loro volevano che andassero in
Puglia o magari a Termoli, come sempre.
Il "last
minute" non lasciava loro troppo tempo, e per questo, fatti due conti,
preparati i bagagli, chiuso il gas, erano partiti senza neanche ascoltare le
ultime prediche.
Adesso erano li, in quel
paradiso, stesi ad ascoltare la musica naturale e sconosciuta che il vento
modellava tra le canne e le palme, a due passi dal mare, che, protetto dalla
barriera corallina, giaceva placido e invitante.
Si fecero forza e, dopo
un ultimo bacio, si diressero, ancora bagnati e sporchi di sabbia chiara, verso
la loro capanna. Infatti, si trattava proprio di una capanna indigena, almeno
dall'esterno.
Foglie di palma e banano
ricoprivano il tetto, mentre una fitta trama di bambù circondava le pareti.
Ampie finestre senza vetri, con solide zanzariere, illuminavano l'interno.
Qualche concessione alle
abitudini occidentali era stata fatta, ventilatore, frigorifero, cucina a gas e
luce elettrica completavano l'arredamento, semplice e funzionale, interamente
di bambù intrecciato e legno locale.
La piccola stanza dei
ragazzi era ancora avvolta dal silenzio e calcolarono di avere ancora un poco
di libertà.
Sul retro, fuori dalla
porta, trovarono, come ogni giorno, il cesto di frutta per la colazione, che il
personale del villaggio faceva recapitare ogni mattino insieme ad una bottiglia
di latte.
Seduti sotto un
pergolato, in un brusio assordante di uccelli tropicali, gustarono il pasto,
mentre il sole iniziava a scottare, e altre figure assonnate apparivano e si
muovevano intorno alle altre capanne.
I figli non avrebbero
tardato a svegliarsi e, nell'attesa, lui si mise ad osservarla, lei si era
spostata su di una sdraio, a pochi metri, di traverso rispetto al sole, che la
illuminava magicamente.
Non riusciva a
distogliere lo sguardo da lei, la scrutava, misurava, la divorava con gli occhi
quasi stupiti da quello spettacolo cosi normale e cosi nuovo.
La dolcezza delle sue
forme contrastava con la forza del viso, i capelli, corti e arruffati
incorniciavano il volto rilassato in quella pace innaturale.
Era bella, bella come
mai era stata prima di allora, la selvaggia natura del posto aveva cancellato i
segni e le cicatrici di anni trascorsi in mezzo ai mille problemi di una vita
classica a volte difficile.
Il corpo, disteso e
rilassato, tradiva le forme e le proporzioni che lui aveva quasi dimenticato.
La normale banalità
della vita trascorsa tra lavoro, scuola, spesa, tasse, partite, eccetera,
avevano ricoperto i loro sensi con uno strato di pesante stoffa scura. Una
stoffa che aveva quasi sepolto il gusto e la gioia di amarsi nel senso più
primitivo possibile.
Gli istinti di una
volta, che avevano governato i loro ritmi giornalieri per anni, erano migrati
verso altre case e altri esseri umani, più pronti e disponibili ai loro
messaggi.
Forse era normale, con
tre pesti furiose sguinzagliate per la casa, e non se ne erano neanche accorti,
in fondo, i loro momenti d'amore ed intimità
c'erano, ma era tutta un'altra cosa.
Il silenzio che piombò
improvvisamente sul villaggio annunciò l'arrivo del battello da pesca che, ogni
mattina a quell'ora, riforniva gli ospiti del cibo necessario per la giornata.
Si alzarono pigramente,
scambiandosi un altro bacio, stavolta più lungo e appassionato, provocando urla
e risate tra i pescatori che li aspettavano sul piccolo molo. Non poté fare a
meno di notare la irridente differenza tra il fisico asciutto e muscoloso dei
nativi e la propria, inconfondibile sagoma, di occidentale decadente.
La scelta non era vasta
come altre volte, ma la qualità era assoluta, e tornarono alla capanna con la
cassetta piena di crostacei e pesci di varie dimensioni.
Una volta che ebbero
sistemato tutto in frigorifero, decisero di fare un salto alla spiaggia e poi
tornare per, eventualmente, svegliare le belve.
Non fecero in tempo,
dalla stanza si udirono, chiare, le voci di tutti e tre intenti a discutere su
chi avesse fatto cosa a chi e perché.
Normale.
Per fortuna non era
necessaria alcuna vestizione e, dopo un salto in bagno, erano pronti per la
colazione, divorarono tutto il possibile, si litigarono le ultime briciole e
alla fine si sorbirono la classica predica giornaliera.
Dopo un'altra e più
accesa discussione, su dove andare e su chi dovesse andarci, sparirono,
correndo come il vento, in direzione del mare, dove sapevano di trovare i resti
di quella tribù di adolescenti, di varie razze, che popolava periodicamente
l'isola.
Alla faccia di tutte le
raccomandazioni ascoltate prima della partenza, li lasciammo andare,
rassicurati dal fatto che il personale del villaggio vigilava regolarmente su
quell'orda di piccoli barbari.
Erano di nuovo soli.
Da quanto tempo non
accadeva, e soprattutto da quanto tempo non si sentivano soli.
Da tanto, troppo tempo.
Avevano a disposizione
molte ore e non si erano ancora abituati a gestire questo tesoro immenso.
Altre volte avevano
sprecato ore nel valutare e considerare tutte le ipotesi e alla fine non
avevano concluso nulla.
Stavolta era diverso.
Si allontanarono dalle
capanne, seguendo un piccolo sentiero, che portava verso la montagna, situata
al centro dell'isola e dopo quasi un'ora di cammino cambiarono direzione,
seguendo un piccolo ruscello che scorreva lentamente in direzione del mare.
Non era la prima volta
ma, quando vi giunsero, furono colti da un senso di vuoto, tanta era la
bellezza del posto.
Il sentiero terminava in
una radura appena più in alto di una piccola spiaggia deserta. Il ruscello
concludeva la sua corsa con una cascata che si infrangeva a metà della falce di
sabbia chiara ed accecante.
Il salto compiuto dall'acqua
provocava una leggera nuvola di acqua dolce in sospensione che aveva favorito
la crescita rigogliosa della vegetazione, fiori dai colori impossibili
incorniciavano quello spazio, e il rumore della cascata si univa alla risacca,
riempiendo tutti i sensi umani di sensazioni bellissime.
La spiaggia era profonda
pochi metri e, da un lato a ridosso di alcuni scogli, vi era una palma da cocco
che, seguendo il capriccio del vento, era cresciuta con una forma innaturale,
tale da proiettare sul luogo un'ombra rinfrescante.
Era deserta, nessuno li
aveva preceduti, nemmeno i giorni prima, nessun segno umano recente sulla
sabbia immacolata.
Il colore del mare
completava questo quadro paradisiaco, difficile da dipingere. Vicino alla riva,
un verde chiarissimo mutava, per ragioni misteriose, in mille sfumature, per
colpire lo sguardo, in un punto particolare, col verde smeraldo.
Più avanti, con il
fondale che declinava dolcemente, l'azzurro prendeva il sopravvento, per
colorare la superficie, mossa dal vento, con un blu cobalto impenetrabile, che
annunciava abissi sconfinati.
Dalla piccola terrazza
sopra la spiaggia, immobili tenendosi
per mano rimasero a contemplare quel piccolo angolo di mondo che nessuna guida
turistica avrebbe mai mostrato.
Con un salto di quasi
due metri atterrarono dolcemente sulla spiaggia e seguendo lo slancio rotolarono,
fino a concludere la loro corsa nell'acqua tiepida.
Lei lo guardava in
silenzio, mentre lui si era abbandonato, con la schiena nell'acqua e gli occhi
chiusi, cercando di confondersi con la bellezza del posto, cosciente della
violenza, che la sua presenza ingombrante e goffa, aveva provocato.
Lei si alzo, allora, di
scatto e andò a rinfrescarsi sotto la cascata, lasciandosi avvolgere da quella
nuvola di vapore per poi lasciarsi
cadere accanto a lui usando il suo petto abbronzato come cuscino.
Quanto tempo passarono
cosi.
Non avrebbero potuto
dirlo, solo qualche istante o molte ore?
Non aveva nessuna
importanza.
Lui inizio ad
accarezzarla, leggermente, con delicatezza esagerata, prima la schiena, poi il
collo, il seno fino a sentire le vibrazioni sotto la sua pelle.
Si fissarono negli
occhi.
Si capirono.
Non servirono parole ne
inviti, i loro corpi si mossero automaticamente, con calma.
Avrebbe potuto succedere
tutto, niente le avrebbe interrotti, avrebbero trascorso i seguenti attimi
isolati dal resto del mondo, impermeabili a qualunque cosa o persona.
Lui l'abbracciò dolcemente
e …………..
Driiin-driiin-driiin.
Pronto? ….. Pronto?
Oddio no!! Non è
possibile! È successo ancora.
Eppure stavolta non era
come le altre, sentivo gli odori, i sapori, sentivo l'acqua fredda della
cascata sul viso. Sentivo lei che…….
Sto diventando pazzo.
Ancora una volta, è
successo ancora, stavolta il telefono, l'altra volta il campanello
un'altra un clacson.
Sempre lo stesso posto,
le stesse persone, Tu che sei sempre più vera, non puoi essere solo un sogno.
Forse ho capito, sei un
incubo, un incubo spaventoso che ogni volta mi trasporta in un pianeta
sconosciuto ed incantato.
Ma no!!
Negli incubi si soffre,
si urla, si piange, e io non lo faccio mai quando sono con te.
Ecco lo vedi sono pazzo,
ti parlo come se esistessi realmente, come se tu potessi ascoltarmi, e magari
rispondermi.
Pero è strano, tu non
parli mai, nel sogno intendo, parlano solo i tuoi occhi, il tuo viso, il tuo
sorriso, parla il tuo corpo quando si abbraccia al mio e sembra non staccarsi
mai.
E io parlo?
Non so , non ricordo,
sono confuso.
Mi sembra di si. Ti dico
mille parole, ti circondo i minuti con le mie farneticazioni, provo a
raccontarti le mie emozioni, i miei desideri.
Pazzia.
Non voglio essere
curato, voglio finire i miei giorni insieme al mio segreto, voglio morire con
la certezza che finalmente saprò la verità, che alla fine ti potrò incontrare
senza la paura di svegliarmi.
E se tu non tornassi
più?
Se le mie notti
restassero vuote, popolate di anime inutili, vuote, senza il tuo calore e la
tua forza.
Lo saprò presto.
Le ore passeranno e
nell'attesa del buio tornerò da ubriacarmi con il sapore e la forza della tua
bellezza.
Tornerai, lo so che
tornerai, e anche se sarà un cannone a svegliarmi, non potrai fuggire in
eterno.
E io ti parlerò, ti
guarderò, ti ruberò tutta la parte più intima e segreta e fuggirò trascinandoti
nel mio castello inespugnabile.
Mi alzo pigramente, sono
sudato e tremo per l'emozione, devo scegliere prima il caffè o la doccia?
Vada per il caffè.
La cucina è vuota e
silenziosa e non mi dispiace, sono tutti fuori, sono stato pigro oggi, i miei
movimenti sono meccanici, in pochi attimi la fiamma del gas illumina la stanza
quasi buia.
Apro le finestre, il
sole d'agosto mi illumina il viso, "se potesse illuminarmi anche la
mente", penso tra me.
Il rumore del caffè mi
riporta alla realtà.
Mi siedo, preparo la
dose di veleno nero che, mi illudo possa risvegliarmi del tutto, e mi appoggio
pigramente alla sedia.
Uno strano fastidio, che
non avevo notato prima, mi esplode sulla schiena e sotto il sedere, mi strofino
allo schienale ma il disturbo non passa, anzi.
Zanzare maledette!!!
Strano, però.
Di solito non ci sono e
poi avevo la maglietta.
Finisco il caffè, mi
alzo in piedi e, con fastidio, mi sfilo la maglietta, passo la mano sulla
schiena, mi strofino.
Mi sento mancare,
barcollo sulle gambe, devo essere sbiancato, non è possibile!
Guardo la mia mano, non riesco a crederci.
Provo a dire qualcosa e
mi sembra di non riuscirci.
Afferro la maglietta dal
pavimento e la scuoto con vigore, la giro, la rigiro e continuo a scuoterla.
Scivolo in ginocchio,
cerco di controllare il mio respiro, calma, calma, adesso, va meglio, va molto
meglio.
Il senso di stupore
misto a paura è svanito.
Ho ripreso il controllo,
i miei occhi sono ancora increduli, però è vero.
Mi piego in avanti, con
la mano sfioro il pavimento e non ho più dubbi.
Quello che vedo è vero, assolutamente
vero.
Ne prendo un po’ e stringo
forte la mano.
Quel gesto, che tutti i
bambini del mondo hanno fatto milioni di volte, mi riempie il cuore di forza.
Adesso un sorriso appena
accennato mi appare sul viso.
Non ho più bisogno del
buio. Non più.
Un
mattino d'estate, un sudato mattino d'Agosto, del terzo millennio.